Il Polpo
Questo lavoro prende le mosse da domande volutamente provocatorie: quanto siamo disposti a derogare umanità a favore della tradizione? In un mondo che sta perdendo rapidamente ogni confine territoriale e culturale, portandoci ben oltre la benefica mescolanza di pensieri, generi e credenze, quanto è giusto fare della tradizione un baluardo (spesso unico) dell’identità di un popolo? Da perfetto pugliese, nelle mie vene scorre tutto il precipitato della cultura delle nostre genti e l’arricciatura del polpo è una delle espressioni più alte di questa tradizione. Pratica millenaria al pari della corrida o della produzione del foie gras, a differenza di queste ultime, la sbattitura del polpo non si è arresa di fronte alle rivendicazioni anti speciste ed animaliste. Chi ha visto il film “Il mio amico in fondo al mare”, documentario di Pippa Ehrlich e James Reed che documenta “l'amicizia” tra Craig Foster con un polpo in una foresta di alghe in Sudafrica, può agevolmente intuire cosa intendo e se, come me, ama il sushi barese, può correre il rischio di perdere tale affezione pensando alla cruenta fine cui sottoponiamo questi “più che sensibili” abitanti del mare. E allora, per una volta, proviamo a metterci dalla parte del polpo. Gli scatti, volutamente “grezzi”, cercano di raccontare il rapporto che lega lo sbattitore e lo sbattuto, una relazione che – a me pare – travalichi spesso l’aspetto gastronomico ed economico portando a galla (è il caso di dire) motivazioni altre: per la vittima l’eccesso di violenza (sarà davvero necessaria?), per il carnefice un protagonismo intriso di motivazioni personali (quanta rabbia machista in quel gesto?).
Il Polpo
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